Glossario

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Deriva dal latino rhytmus  e allude, almeno in origine, a un impiego dedicato a generi bassi o popolari: quelli, comunque, che non utilizzavano la metrica quantitativa. La rima consiste nella completa omofonia delle parole terminali di due o più versi dall’ultima vocale tonica in poi, e trova il suo impiego rigoroso e sistematico a partire dall’XI secolo, con la poesia dei trovatori. Ci sono molti tipi di rima che rispondono a diversi artifici, dei quali i più noti sono:

Rima univoca, quando le terminazioni hanno lo stesso suono e lo stesso significato.

ESEMPIO ▶ «Ennantir sì, che ’l piagar quasi a morte/ […] / e perdonò lor morte» (Guittone d’Arezzo, Ahi lasso, or è stagion, vv. 40 e 44).

Rima equivoca, quando le terminazioni hanno lo stesso suono ma differente valore semantico.

ESEMPIO ▶ «che ’l fa gir oltra dicendo: oimè lasso! // Poi, ripensando al dolce ben ch’io lasso» (F. Petrarca, Canzoniere, 15, vv. 4-5).

Rima derivativa, quando una delle terminazioni ne contiene in sé un’altra di uguale etimologia.

ESEMPIO ▶ «lo spirito che porto  / […] und’eo mi sporto» (Guido delle Colonne, Ancor che l’aigua per lo foco lassi, vv. 58 e 62).

Rima composita (o franta), quando una rima è prodotta dalla somma di due parole.

ESEMPIO ▶ «Cercando lui tra questa gente sconcia / […] / e men d’un mezzo di traverso non ci ha» (Dante, Inferno, XXX, vv. 5 e 87).

Rima imperfetta, quando il suono tra due o più parole non è perfettamente uguale. Casi di rima imperfetta sono → assonanza  e → consonanza .

Rima siciliana: trae spunto dalla stessa fonetica siciliana, che non ha nel proprio sistema linguistico la differenza tra vocali aperte e chiuse ma conosce solo vocali aperte.

ESEMPIO ▶ «Sanza mia donna non vi vorìa gire / […] / ché sanza lei non poteria gaudere» (Iacopo da Lentini, Io m’aggio posto in core, vv. 5 e 7).

Rima interna, quando la rima cade all’interno del verso.

ESEMPIO ▶ «un mazzolin di rose e viole, / onde, siccome suole, ornare ella si appresta» (G. Leopardi, Il sabato del villaggio, vv. 4-5).